Roberto Scevola – Professore associato di Diritto romano e diritti dell’antichità, Università degli Studi di Padova

SOMMARIO

1. Premessa.
2. Ipotesi previste dalla legislazione decemvirale (tab. 8.12-13): interpretazione tradizionale e sua ratio.
3. Decostruzione dell’ipotesi mommseniana da parte della concezione punitivo-sanzionatoria.
4. La necessità di ‘un passo indietro’ nel segno della liberazione dagli eccessi dogmatici.
5. Gli apporti della giurisprudenza classica come autentico ‘gremio’ della legittima difesa.
6. Conclusioni.


Nell’esperienza giuridica romana la reazione difensiva a un’aggressione violenta è definita dal principio secondo cui ‘vim vi repellere licet’, mentre le è sconosciuta una qualificazione attigua alla moderna ‘legittima difesa’: muovendo da un fondamento ‘naturalistico’, dunque, il contributo indugia sulla simmetria fra attacco e risposta, connotate entrambe dalla vis, ossia dall’uso della forza. Liberata innanzitutto l’analisi di XII tab. 8.12-13 dall’eccesso di dogmatizzazione presente nell’alternativa dicotomica tra norma esimente e prescrizione incriminatrice, vengono indagate le fonti legislative e giurisprudenziali, nel segno della progressiva incompatibilità fra tuitio e ultio. Il ricorso lecito al vim vi repellere si restringe, ma nel contempo se ne precisano i contorni applicativi sul piano oggettivo e soggettivo, sì da enucleare aspetti in seguito posti a fondamento della ‘legittima difesa’: al diritto all’integrità fisica vengono chiaramente accostate la tutela dei beni patrimoniali – inclusiva della proprietà, in qualche modo già adombrata nel caso del furto notturno, ma anche del possesso – e la protezione del pudore, mentre acquisisce forma la difesa altruistica, a favore dei propri congiunti nonché, per espressa volizione normativa, dei servi verso i padroni e dei militari nei confronti del loro superiore.

Parole chiave: diritto romano, legittima difesa, giurisprudenza romana, furto notturno, proprietà e possesso.


In Roman legal history, protective reaction to a violent aggression is defined by the principle vim vi repellere licet, while a definition close to the modern ‘self-defense’ is unknown: moving from a ‘naturalistic’ background, therefore, this essay explores the symmetry between attack and response, both connoted by the vis, i.e. the use of force. Having first of all freed the analysis of XII tab. 8.12-13 from the dogmatic stand related to the strong opposition between exempting rule and indictment law, the legislative and jurisprudential sources are investigated, in the light of the progressive inconsistency between tuitio and ultio. The lawful reliance to the vim vi repellere is narrowed, but at the same time its practical boundaries are definied on an objective and subjective level, aiming to identify issues that later became the basis of ‘self-defense’. The right to physical integrity is clearly associated to the protection of assets – including property, in some ways already mentioned in the case of night theft, but also of possession – and the safeguard of shame, while selfless defence takes shape, in favour of one’s relatives as well as, by given legal statement, of slaves towards their masters and of soldiers regarding their superiors.

Key words: Roman law, self-defense, Roman legal science, overnight theft, property and ownership.

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